Le ipotesi sul significato del nome ‘Maggio’ sono molteplici: si suppone che tale termine derivi da ‘major’, per indicare l'albero più grande o che discenda dal mese maggio, durante il quale molto spesso si celebra la festa. Ancora, secondo Paolo Toschi, il nome discenderebbe dal nome della dea Maja: «Maggio è la festa della fecondazione arborea e quindi dedicata alla dea Maja, quella di maggio esprime, in originali forme di bellezza, l’anelito della moltitudine a che la nostra terra sia sempre ferace: una delle più antiche e venerate divinità laziali che personificava il rigerminare della vegetazioine al ritorno della primavera, e la fertilità della terra in maggio».La celebrazione appare nelle linee fondamentali fedele a uno schema che si ritrova nei culti arborei presenti in numerose regioni europee: questa usanza mirava a portare nel paese e nella propria casa - secondo James Frazer - “lo spirito fecondatore della vegetazione, risvegliatosi con la primavera”; solo in un secondo momento è diventato ‘centro’ di divertimenti festivi. Wilhelm Manhanardt, a cui Frazer fece riferimento, vedeva nell’albero del Maggio lo spirito della vegetazione: «la processione di questi rappresentanti della divinità si supponeva producesse sulle galline, sugli alberi da frutta e sopra il raccolto gli stessi benefici effetti della presenza della divinità stessa».
La fucilazione, l’abbattimento o il bruciamento dell’albero di maggio sarebbe “considerata come un mezzo per favorire e affrettare la crescita della vegetazione”.
Letture di questo tipo aiutano a comprendere che le feste attuali, pur mutate nel significato e nella funzione, hanno stratificazioni remote, e molto verosimilmente possono essere fatte risalire ai miti e ai riti agrari delle antiche popolazioni contadine.
Inoltre, potrebbero rendere ragione degli elementi magici che, residualmentre, risultano presenti, anche se avulsi dalla complessa cosmologia di cui facevano parte e sinteticamente assorbiti dentro il cattolicesimo popolare. L’interpretazione dei culti arborei come riti di fertilità è strettamente connessa con la lettura della festa dell’albero come culto fallico. Non si scosta da questa linea interpretativa, se non per integrarne l’ingenuo sessualismo nell’ontologia arcaica, Mircea Eliade: «Il cosmo è simboleggiato da un albero; la divinità si manifesta dendromorfa: la fecondità, l’opulenza, la fortuna, la salute sono concentrati nelle erbe e negli alberi. La razza umana deriva da una specie vegetale; la vita umana si rifugia nelle forme vegetali quando è interrotta con malizia (…) il cosmo rappresentato in forma di Albero, perché l’albero si rigenera periodicamente. La primavera è una resurrezione della vita universale e di conseguenza della vita umana».
Nelle feste dell’albero, ancora vive nelle tradizioni popolari europee, sarebbe implicita "l’idea di rigenerazione della collettività umana mediante una sua partecipazione attiva alla resurrezione della vegetazione e della rigenerazione del Cosmo".
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