Giuliano, un giovane originario della Dalmazia, visse sotto l’imperatore Antonino Pio (138-161 d.C.). Divenuto cristiano, probabilmente nelle catacombe di Pola, Sirmio o Salona, si dedicò con passione a approfondire la propria fede e a diffonderla con coraggio.
Durante un viaggio a Roma, diretto sulla tomba dei Santi Apostoli Pietro e Paolo per implorare a Dio una fede forte e incrollabile, Giuliano si imbatté, nei pressi di Sora, in una pattuglia di soldati. Dopo un sommario interrogatorio, fu catturato e condotto nella prigione di Vallefredda. Il giorno seguente, si trovò davanti al proconsole Flaviano, il quale, impressionato dalla giovane età di Giuliano e dalla crescente influenza delle religioni orientali, decise di condannarlo a sette giorni di prigionia senza cibo. Tuttavia, trascorso quel periodo di digiuno, Giuliano riemerse dinanzi al proconsole con un volto roseo e una determinazione ancor più forte nel testimoniare la sua fede.
Non ottenendo il risultato sperato, Flaviano passò alla flagellazione, ma la fede e la testardaggine di Giuliano crebbero ulteriormente. Fu quindi condannato all'aculeo, un antico strumento di tortura che straziava le membra del condannato. Ma, dopo pochi giri, le braccia dei torturatori si paralizzarono, incapaci di continuare. Decidendo di assumere il compito in prima persona, Flaviano si avvicinò a Giuliano, ma nel frattempo giunse la notizia che il tempio della dea Serapide era crollato, frantumando la statua della divinità. Gli astanti, attoniti, attribuirono questo evento straordinario alla fede indomita di Giuliano. Per fermare le voci che si erano diffuse e per spegnere la testardaggine del giovane, Flaviano lo condannò alla decapitazione. La condanna fu eseguita tra i ruderi del tempio della dea. Prima di morire, Giuliano esortò i presenti a non adorare divinità false e ingannevoli, ma a riconoscere solo il Dio creatore del cielo e della terra e suo figlio, Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza dell'umanità. Dopo aver perdonato il proconsole e i torturatori, San Giuliano fu decapitato. Durante la notte, i suoi fratelli raccolsero il corpo martoriato del santo e lo portarono nelle catacombe di Sora.
Come testimonia il documento autografo del vescovo Girolamo Giovannelli, trasmesso alla Congregazione dei Riti il 15 aprile 1614, le reliquie di San Giuliano furono rinvenute nel luogo del martirio il 2 ottobre 1612 e trasferite, per ordine della duchessa Costanza Sforza Boncompagni, il 6 aprile 1614, nella Chiesa di Santo Spirito, eretta per volontà della stessa duchessa.
Dall’archivio di Accettura emerge che il culto di San Giuliano cominciò a manifestarsi nel 1725, anno in cui il santo divenne protettore del paese. La visita pastorale di Mons. Zavarrone nel 1744 rivela l'esistenza di una statua lignea con una reliquia riposta in una teca argentata, nonché di un altare dedicato al protettore, in occasione del quale si celebrava già una festa esterna. Per garantire la buona riuscita della festa, veniva nominato un procuratore in pubblico comizio.
La successiva visita pastorale di Mons. Fortunato Pinto nel 1796 evidenziò la crescente fusione tra il Maggio e il culto del Protettore. Durante questa visita, il vescovo, constatando l'assenza di una pergamena attestante l'autenticità della reliquia, ingiunse al clero di procurare un'autentica entro un anno, pena la "rottura della reliquia". L’arciprete Giuseppe Nicola Spagna convocò i presbiteri per affrontare la questione, e la soluzione si delineò grazie alla figura di Fra Berardino Cifuni, cappellano regio a Sora, dove San Giuliano era protettore.
Un sacerdote fu incaricato di portare la reliquia a Sora per redigere un’autentica secondo l’ingiunzione vescovile. Fra Berardino, che aveva officiato anche nel monastero di San Francesco in Accettura, si impegnò a far confezionare un’autentica, rilasciata il 29 aprile 1797. L’arrivo della reliquia con l’autentica riaccese la fede in San Giuliano, dando nuova vita alla festa, che assunse un aspetto di contestazione contro lo scetticismo del vescovo che aveva osato mettere in dubbio “la reliquia di San Giuliano”.
La festa di primavera si tinse così di uno spirito di sfida e rivincita. L’arrivo della reliquia autenticata coincise, probabilmente, con l’Ascensione (25 maggio) o con la Pentecoste (4 giugno), periodi in cui si celebrava la festa dell’albero. Questo evento rappresentò un’occasione unica in cui il culto del Protettore si unì indissolubilmente alla festa del Maggio. Tale unione trova conferma nella celebrazione del Centenario del 1897, che testimoniò la profonda interconnessione tra le due celebrazioni, radicando ulteriormente il culto di San Giuliano nella comunità.