La domenica mattina, si giunge al bosco di Montepiano e ciò che appare davanti agli occhi ricorda la quiete e l’armonia di un antico mito pastorale. In lontananza, si intravedono le montagne, mentre una radura circondata da rigogliosi prati ospita alti cerri, sotto i quali pascolano imponenti buoi bianchi, accoppiati e legati sotto un giogo tradizionale. Le loro corna, adornate da delicate corone di rose rosse e fiori gialli di ginestra, incorniciano spesso l’immagine protettiva di San Giuliano. Intorno a loro, giovani pastori e uomini più anziani, appoggiati ai loro bastoni, formano una scena che sembra uscita da un quadro antico, immobili nell’attesa. Tutti gli occhi sono rivolti verso l’orizzonte, in attesa dell’arrivo dei buoi incaricati di trainare il Maggio — un massiccio tronco di cerro lungo oltre trenta metri, che insieme alla Cima, un agrifoglio, sarà poi issato nel cuore del paese, dando inizio alla celebrazione.
Il silenzio viene spezzato d’improvviso da urla di incitamento e dal rumore ritmico degli zoccoli: i buoi bianchi, spinti dai loro mandriani, iniziano a muoversi. Tra gli adulti si scorgono anche alcuni giovani bovari, bambini di appena dieci anni, il volto concentrato e serissimo. In piedi, in equilibrio precario, sul grande tronco, si lasciano trascinare verso valle, seguiti dallo sguardo ammirato della folla che si apre per lasciare libero il passaggio. Il corteo avanza tra grida, musica e risate, fermandosi solo per brevi momenti, come quello in cui vengono distribuite zeppole calde e formaggi artigianali. Un corteo imponente, formato da circa cinquanta coppie di buoi, animali che vengono allevati appositamente per l’occasione, sostenuti economicamente dalle famiglie dei maggiaioli.
Il cammino è rapido, ma non mancano le pause, durante le quali i bovari intonano canti tradizionali, dai toni potenti e arcaici, evocando le radici contadine della festa. A volte l’aria si riempie dei ritmi della tammurriata, e l’atmosfera festosa si fa ancora più viva. Altre volte, è il suono delle zampogne o degli organetti, strumenti suonati da generazioni di accetturesi, a riempire il bosco di musica. Ogni fermata è un’occasione per condividere e celebrare, immersi nella bellezza della tradizione.
La sosta più lunga avviene intorno all’ora di pranzo, verso le 13:30, quando, dopo la messa celebrata nel bosco , si dà il via a un banchetto all'aperto. Le ceste si aprono e rivelano un trionfo di piatti della tradizione: timballi di pasta, salsicce, soppressate, caciocavalli freschi e ricotte, accompagnati da generose quantità di vino rosso locale. Alcuni improvvisano persino fuochi per cuocere la “pastorale”, un piatto tipico di carne di pecora con verdure e spezie. Intanto, i buoi si riposano, stanchi dopo la fatica del trasporto: alcuni si accovacciano sull’erba, altri brucano foglie fresche dalle querce.
Dopo alcune ore di riposo, il corteo si rimette in marcia verso Accettura. Stanchi ma euforici, i partecipanti giungono nel paese nel tardo pomeriggio, accolti da una folla in festa. È qui, tra le strade principali, che i due cortei si incontrano, e la celebrazione raggiunge il suo apice. Quella della domenica sera è una sorta di “promessa” solenne tra il Maggio e la Cima, un preludio al grande evento che avverrà nei giorni successivi, quando i due alberi, dopo un’accurata lavorazione, verranno finalmente uniti. Con l’incastro perfetto, frutto dell’abilità degli uomini e dei loro colpi d’accetta, si sancirà l’unione simbolica, dando inizio alla festa vera e propria.