Il Maggio di Accettura: da "incantesimo agrario" a identità collettiva di un popolo

Prima dell'esodo dalle campagne ciascuna categoria esercitava un ruolo specifico: il trasporto degli alberi era gestito dai “Massari” organizzati in genere per contrade, allora tutte densamente popolate; e per il “Maggio” vigeva il privilegio dei proprietari terrieri di maggior prestigio. Era la festa dei “Massari”, momento competitivo e di affermazione di sé e della contrada.

Per la “Cima” provvedevano i braccianti contadini, trasportandola sulle spalle lungo il tratturo che da Gallipoli, per San Nicola, scendeva alla Salandrella di Ermoli. E la salita per raggiungere il paese era veramente dura e ci volevano soste, fiaschi di vino, sollecitazioni di zampogne e canti. E tutto si svolgeva in modo composto, con limitati spettatori. Le donne a seguire con le provviste, ad imbandire tavolate al fresco e tra l'erba.  Una diversa realtà si vive nel nostro tempo e non esistono differenze di classe e di sesso.

 il “Maggio di Accettura” non esprime più l'autentico mondo agreste, le ansie, le aspettative, la gioia del risveglio primaverile dei contadini. L'emigrazione e l'esodo dalle campagne, già negli anni sessanta, sembrava aver sottratto base sociale al processo festivo. Tuttavia, grazie all'impegno innovativo di una rinnovata procura, al ritorno dei primi emigranti per l'occasione e all'emergere di nuovi  protagonisti (esemplare il mitico Zizilone), il “Maggio” riprese vigore e sorse a nuova vita. La riscoperta dell'evento, poi, dell'antropologo Bronzini, nel 1969, diede un tale impulso culturale da varcare i confini geografici, attirando artisti e studiosi di diverso orientamento e tecniche espressive, che hanno arricchito l'ampia letteratura  di nuove interpretazioni e testimonianze, tanto diffuse da essere inclusa dall'UNESCO tra le 47 fra le più belle “Fetes du Soleil”. Le sue ricerche sul campo furono per noi la riscoperta del valore della nostra tradizione; la partecipazione di tanti e tanti giovani, residenti e non, di ogni età, hanno infuso nuova anima alla festa sulle ceneri delle motivazioni originarie. La sua vitalità si è rafforzata nella nuova funzione di coesione sociale, di radice identitaria; espressione di una particolare storia umana di comunità di emigranti, che trova nel “Maggio di San Giuliano” la metafora per trasmetterla alle nuove generazioni.

E l'esuberanza dei giovani, che segnano il passaggio da un rituale di “incantesimo agrario” a quello prevalente di spettacolo popolare, va considerata come evoluzione naturale della festa e libera espressione di stati d'animo autentici dei nuovi tempi.  Oggi constatiamo una carica spettacolare e di protagonismo che si manifestano  nei diversi momenti dello sviluppo festivo. Il Bronzini, già nel 78 aveva constatato una certa “carica carnevalesca del rito” che i vecchi contadini esprimevano con “più composto ballo simbolico” : ”Non dobbiamo dolercene, osservava, né si può, ammesso che si voglia, regolare la dinamica di una cultura viva, alimentata da germi antichissimi, sopiti e risvegliati”... Ciò che conta “non è l'agonismo individuale...” “è quanto la festa va guadagnando con la partecipazione dei giovani.(Accettura, il contadino, l'albero , il Santo- p.114 – Congedo) Ed in effetti oggi i giovani di ogni età sono i veri promotori e protagonisti dell'evento.

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