Antonio Sansone

Il mio primo 'contatto' con il con la Festa l'ho avuto circa 20 anni fa. Andai ad Accettura per lavoro, 5 giorni interi a trasmettere - via satellite - i momenti della festa a degli accetturesi sparsi per il mondo, non ricordo sinceramente dove fossero. Avevo con me la mia macchina analogica e scattai qualche diapositiva. Non ebbi molto tempo per viverla e - tranne la parte svolta in paese - non riuscii a comprendere le dinamiche di questo rito arboreo.

Passò un po' di tempo, tornai negli anni a seguire un paio di volte e sempre nella giornata della domenica, la più affollata, e sempre seguendo la parte che riguardava il maggio, ‘” u’ masc’ “. La cima, la sposa, era per me il 'contorno' della festa che, trasportata in paese dal bosco, era messa li ad attendere.

Ricordo un aneddoto che mi capitò in una delle domeniche di tanti anni fa. Ero nel bosco - nella carovana del maggio - e mentre si era fermi a ballare al suono degli organetti si avvicinò un ragazzo del posto, era abbastanza 'allegro' e guardandomi fisso prese la ragazza, che era con me, e mi disse 'La femmina è la tua ma la festa è la mia'. Rimasi sorpreso e lo seguii con lo sguardo mentre ballava con lei un incerta danza.

Capirò solo in seguito il significato delle sue parole. Passato un po' di tempo, anche grazie al coinvolgimento del mio amico Andrea Semplici, ho deciso di ritornarci per vivere la festa diversamente. Nel 2013, dovendo lavorare la domenica, tornai ad Accettura solo il martedì e mi si aprì un mondo nuovo. Scoprii un lato della festa meno 'caotico' della domenica, festa più intima con meno turisti, scoprii la parte religiosa di questa festa in onore a San Giuliano.

Gli accetturesi si riappropriavano della loro festa. Mi ripromisi che l'anno seguente avrei cercato di viverla il più possibile nell'arco dei tre giorni. Feci di più. Andai ad Accettura il giorno dell' abbattimento del Maggio, nel bosco di Montepiano, già individuato la prima domenica dopo Pasqua. Momento intenso e partecipato dalla gente del posto.

Poca gente esterna, mi sono confuso tra loro. Ho iniziato a comprendere qualcosa in più. L'attaccamento che questa gente ha per la festa lo percepisci subito. Ho individuato le figure di riferimento della festa. Ero felice di aver vissuto con loro quella mattina. Ricordo che la pioggia improvvisa ci sorprese mentre si tornava in paese e il pranzo, programmato all'aperto, fu dirottato in una struttura al coperto. Tornai a casa felice. Mi organizzai con il mio lavoro e tornai il sabato prima della festa trovando da dormire, con mia moglie, in un B&B.

Aggiunsi un altro tassello mancante al racconto: il momento dell'esbosco del cerro e il suo avvicinamento verso il paese con sosta al bosco di Monte Vergine nel tardo pomeriggio. La gente seduta, tra le foto appese di Andrea, con tovaglie colorate a ricoprire il sottobosco a banchettare felice era qualcosa di unico. La domenica mattina, giorno di Pentecoste, svegliato prima del canto del gallo ci recammo in piazza. Banda musicale, ragazzi stipati su camionette e rimorchi, tutti pronti per recarsi al bosco di Gallipoli Cognato, si andava a prendere la sposa.

Si partì giungendo, poco prima delle pendici, ad una spianata naturale dove, su un altare sopraelevato, Don Peppino celebrava messa. Terminata la funzione religiosa e oramai tutti completamente svegli salimmo sulle pendici a prendere la ‘Cima’. L'agrifoglio scelto con cura dagli esperti 'cimaioli' venne tagliato e portato a spalle attraverso la discesa dal bosco e poi, lentamente, verso il paese dove giunse in tarda serata. 

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