Cenni di Antropologia

Le ipotesi sull’origine del nome “Maggio” sono numerose e affascinanti. Potrebbe derivare da major, per indicare l’albero più grande; dal mese di maggio, durante il quale questa festa si celebra frequentemente; o, come suggerisce Paolo Toschi, dal nome della dea romana Maja, simbolo del rigenerarsi della vegetazione in primavera e della fertilità della terra [1].

La celebrazione segue uno schema che si ritrova nei culti arborei diffusi in molte regioni europee. Secondo studiosi come James Frazer, queste usanze avevano lo scopo di portare nel paese lo “spirito fecondatore” della vegetazione, risvegliatosi con la primavera [2]. L’abbattimento, la fucilazione o il bruciamento dell’albero di Maggio venivano interpretati come riti simbolici per favorire e accelerare la crescita della vegetazione .

Sebbene le feste attuali abbiano mutato significato e funzione, conservano stratificazioni remote che risalgono ai miti e ai riti agrari delle antiche popolazioni contadine. È probabile che tali tradizioni rendano ragione degli elementi magici ancora presenti, anche se assimilati dal cattolicesimo popolare. L’interpretazione dei culti arborei come riti di fertilità è strettamente connessa alla visione dell’albero come simbolo fallico, come sottolineato da Mircea Eliade [3]. Queste interpretazioni, tuttavia, non bastano a spiegare perché tali celebrazioni siano sopravvissute fino ai giorni nostri [4].

Nei secoli scorsi, ai temi del rinnovamento della natura si associavano concetti di libertà e autonomia: la festa celebrava la liberazione da obblighi e limitazioni, sancendo l’instaurazione di giurisdizioni autonome. Non a caso, durante la Rivoluzione Francese, l’albero di Maggio si trasformò nell’Albero della Libertà. In Basilicata, i boschi hanno storicamente rivestito un ruolo cruciale come risorsa di sussistenza per le comunità. Durante i moti popolari, occupare i boschi di proprietà di baroni e municipalità era un atto simbolico di protesta. Questi eventi si verificarono durante la Repubblica Partenopea, sotto Murat, dopo l’Unità d’Italia e fino ai moti contadini del secondo dopoguerra [5].

Il mito popolare del Paese di Cuccagna si intreccia con queste tradizioni. Esso evoca un luogo di abbondanza senza lavoro, una rappresentazione del paradiso terrestre. Questo mito trovò espressione nelle rappresentazioni carnevalesche e, a partire dal XVI secolo, in incisioni che raffiguravano un albero carico di beni. L’albero della Cuccagna rigenera quindi i temi dell’albero di Maggio [5], arricchendoli con elementi utopici. Nel Sud Italia, la tradizione dell’albero di Cuccagna sopravvive ancora oggi, soprattutto nelle feste patronali. Nel XVII e XVIII secolo, i viceré di Napoli istituzionalizzarono la Cuccagna come celebrazione della loro munificenza, con elaborate costruzioni nel centro di Piazza del Plebiscito. Queste manifestazioni furono imitate dai baroni locali nelle piazze dei loro paesi, seppur in forme ridotte.

Oggi, in un’epoca in cui il sistema magico-religioso ha perso centralità, queste feste assumono un nuovo significato. Secondo Vittorio Lanternari, tali rituali rappresentano un’occasione per riaffermare l’identità collettiva: «Attraverso questo cerimoniale, gli abitanti riaffermano la propria unicità rispetto ai paesi vicini e celebrano la continuità con gli antenati». La festa diventa così un simbolo della propria storia, cultura e tradizione [6].

Più recentemente Giovanni Battista Bronzini, ha interpretato il Maggio di Accettura come il “matrimonio degli alberi“. In questa celebrazione, i due alberi rappresentando l’unione tra elementi maschili e femminili della natura [7]. Tuttavia, alcuni studiosi, tra cui Vincenzo Maria Spera hanno messo in discussione questa interpretazione [8].

Dunque, la festa del Maggio moderna non può essere ridotta a una semplice sopravvivenza dell’Albero della Libertà o del Rituale Arcaico di Primavera, o ad un matrimonio tra alberi.

Essa rappresentano un intreccio unico di elementi culturali, sociali e politici, che la rende viva e attuale nel contesto contemporaneo.

  1. Paolo Toschi, Le origini del teatro italiano, Ed. scientifiche Einaudi, 1955.
  2. James Frazer, The Golden Bough , Newton & Compton, 1992.
  3. Mircea Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Rusconi, 1975. 
  4. Ferdinando Felice Mirizzi, I riti arborei in Italia: tra interpretazioni frazeriane e rappresentazioni etnografiche , in Annali della facoltà di Lettere e Filosofia, 1999.
  5. Giuseppe Filardi, Appunti per la storia di Accettura, Gramma Perugia 2001.
  6. Vittorio Lanternari, Crisi e ricerca d’identità. Folklore e dinamica culturale , Napoli 1977.
  7. Giovanni B. Bronzini, Accettura: il Contadino, l’Albero, il Santo , Galatina 1979.
  8. Vincenzo M. Spera, L’ambigua e seducente “inventio” dell’origine arcaica delle feste popolari. Il caso del “Maggio di Accettura”, Appennino, 2015.